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La «Recherche» di Marguerite

di Matteo Metta

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25 LUGLIO 2008
Marguerite Yourcenar (Afp Photo)

«Qualunque cosa si faccia, si ricostruisce sempre il monumento a proprio modo; ma è già molto adoperare pietre autentiche». Basterebbero queste parole della Yourcenar per allontanare da lei le pretese attribuitale da alcuni storici, per poi essere smontate da altri, di voler fare, nel suo capolavoro «Memorie di Adriano», "storia romanzata". Semplicemente pensava che essere il più fedele possibile ai fatti potesse arricchire il valore umano del personaggio e del romanzo. E se la scrittrice riporta in una nota alla fine del libro, come del resto già aveva fatto Racine nelle sue tragedie, tutte le fonti (letterarie e archeologiche) che le sono servite per la scrittura del suo Hadrien, con l'esatta indicazione dei punti del romanzo in cui è intervenuta modificando le testimonianze, è solo per non disperdere uno sforzo documentario ciclopico, durato più di trent'anni, con instancabili letture e viaggi. Il romanzo ha conosciuto una difficile e laboriosa gestazione: cominciato nel 1924 continuerà tra mille dubbi e ripensamenti, fino al 1951, anno della pubblicazione definitiva presso l'editore Plon. In un periodo così lungo le accade frequentemente di trascorrere intere giornate in completo straniamento, leggendo gli antichi classici dell'edizione Loeb-Heinemann, che per lei diventano una «seconda patria». Risoluta nella convinzione che «uno dei modi migliori per far rivivere il pensiero di un uomo è ricostruire la sua biblioteca».
Antinoo in veste di Dioniso/Osiride, Testa di Mondragone, Parigi (Louvre)La biografa della Yourcenar, Josyane Savigneau, scriverà che «la sua vera vita è Adriano. Marguerite vive ormai "in pieno secondo secolo"». Del resto il suo scopo era «rifare dall'interno quello che gli archeologi del XIX secolo hanno rifatto dall'esterno». E lo vuole raggiungere utilizzando un «metodo di delirio», stando con un piede nell'erudizione e l'altro nella magia, «quella "magia simpatica" che consiste nel trasferirsi con il pensiero nell'interiorità di un altro». Tanti critici, intervistatori, lettori avrebbero voluto farle pronunciare, sulla falsariga del celebre «Madame Bovary sono io» di Gustave Flaubert, «Adriano sono io». Lei trovava grossolani questi tentativi, e infine, quasi piccata, risponderà che i numerosi anni passati a immergersi nella psicologia dell'imperatore, avrebbero potuto farle dire piuttosto «io sono diventata Adriano».
Oggi che nella mostra del British Museum l'ansia di dire qualcosa di nuovo ha spinto i curatori verso una "riscoperta" di un Adriano capo di eserciti e in armi, contro la vulgata diffusa dalla scrittrice di un imperatore pacifista e contemplativo, dedito alla filosofia, all'architettura e alla poesia (di cui purtroppo ci sono rimasti solo i pochi ma intensi versi di «animula vagula, blandula...»), la Yourcenar direbbe che hanno fatto una bella scoperta. Lei stessa sceglie di scrivere il romanzo sotto forma di "memorie" – e non di diario, ipotesi che scarta quasi subito – perché «un uomo d'azione raramente tiene un diario». Adriano, irriducibile globetrotter, trascorse ben undici dei suoi venti anni di regno visitando tutte le province del vasto impero, e solo una volta costretto all'inazione, durante la vecchiaia, quando sente l'approssimarsi della morte, avrebbe potuto ripercorrere sul filo della memoria la sua esistenza. Tant'è vero che l'unica frase della stesura provvisoria iniziata nel 1934 che rimarrà nella versione definitiva sarà proprio quel «comincio a scorgere il profilo della mia morte».
Si vorrebbe anche ridimensionare il mito di Adriano «graeculus». Beh, prima di analizzare gli abiti greci, di pertinenza o meno di un suo ritratto, basterebbe soffermarsi sul volto, o meglio sulla sua barba. Adriano fu il primo imperatore a farsi ritrarre con questo "attributo" e ciò assume una valenza ideologica enorme, soprattutto nel II secolo. Le ricerche di Paul Zanker hanno dimostrato come alla base della moda lanciata da Adriano vi fossero chiari obiettivi programmatici. Emulando con la barba le sembianze dei filosofi greci, egli innesca nella storia culturale di età imperiale un processo che porterà a una radicale modificazione dell'autopercezione da parte dei romani, che avrà come risultato la conciliazione, sotto l'etichetta di "cultura classica", della tradizione greca con quella romana, fin ad allora contrapposte. La cultura greca, bollata come «luxuria» dai tradizionalisti romani (in primis Catone il Censore), e fino a quel momento relegata e tollerata nella sfera privata di ville e case fuori dell'Urbe, viene assimilata nella tradizione romana, inaugurando la cosiddetta paideia classica. La barba, ritenuta sino ad Adriano "non romana", era accuratamente evitata nelle ritrattistica ufficiale. Infatti, il suo predecessore, Traiano, che incarna perfettamente l'ideale dell'imperatore conquistatore, non poteva che farsi rappresentare in maniera antitetica al riccioluto e barbuto Adriano: appare nei ritratti perfettamente rasato e con i capelli lisciati. «Memorie di Adriano» pullula di parole ricolme di ammirazione per la Grecia, ammirazione che si spinge fino all'adorazione: «Tutto quello che c'è in noi di armonico, cristallino e umano ci viene dalla Grecia», scrive l'imperatore filelleno al diciassettenne Marco Aurelio, nella finzione romanzesca.
E veniamo all'episodio di Antinoo, il bellissimo efebo bitinio amato da Adriano, che ha destato l'attenzione della critica e di numerosi lettori entusiasti, generando molta eco, a tal punto da divenire l'emblema di tutto il romanzo. Che l'interesse del pubblico si concentrasse soprattutto sulla relazione omofila dell'imperatore, alla Yourcenar riusciva sgradito; lo considerava quasi un abuso, nonostante fosse stata proprio lei a insistere sulla vicenda, facendone il centro della narrazione. Anzi, c'era stato un momento in cui aveva desiderato che fosse proprio quello il soggetto di un romanzo intitolato «Antinoos» e concepito in maniera completamente diversa. In realtà la scrittrice era contrariata dal fatto che i critici, identificando l'imperatore con lei stessa, leggessero nelle considerazioni sull'amore che vengono espresse nel libro un riflesso della sua esperienza personale. O ancora di più: che dietro il rapporto amoroso Adriano-Antinoo vedessero adombrata la sua relazione con Grace Frick, su cui era solita tenere un contegnoso riserbo, pur non essendo un segreto per nessuno dei suoi conoscenti.
  CONTINUA ...»

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